Quando nel mio paese il sindaco deve costruire un palazzo e gli serve personale si reca in carce- re e prende i detenuti a lavorare come muratori. Prima di uscire a lavorare all’esterno del carcere il detenuto deve firmare un contrat- to: in caso di fuga la pena gli ver- rà aumentata di 5 anni e perderà tutti i benefici per il resto della detenzione.
Sono arrivato in Italia come clan- destino dalla Libia e adesso su di me grava l’accusa di aver fatto lo scafista. Penso che sull’immigrazione manchi una politica mondiale adeguata. Se non c’è una politica coerente si ripeteranno all’infini- to gli sbarchi e aumenteranno i clandestini.
In Germania ad esempio, a tutti i detenuti è garantito il lavoro a parte i degenti e chi non vuole la- vorare. Costoro passano 23 ore in cella e hanno solo un’ora d’aria. Il lavoro viene ben retribuito pas- sando da un minimo di 700€ ad un massimo di 1.800€, il tutto in base alle diverse mansioni. Questo è molto importante per- ché quando un detenuto esce dal carcere si ritrova con in tasca una somma di denaro che gli da una certa tranquillità per tornare a casa dai propri parenti.
Sono un ragazzo di origine ma- cedone da entrambi i genitori e sono nato a Bolzano nel 1996 e risiedo a Bressanone. Al’età di 12 anni ho conosciuto gente molto più grande di me e ho cominciato a bere con loro e uscire. I miei genitori mi punivano ovviamen- te per togliermi da questi brutti comportamenti, praticamente per il mio bene, ma io non lo capivo e peggioravo sempre di più; non tornavo a casa per giorni e giorni, addirittura la polizia mi cercava perché i miei genitori erano pre- occupatissimi per me, ma io ho sempre continuato a bere e ad uscire.
LETTERA da lontano LETTERA da seguire con gli occhi e l’indice di una mano LETTERA che arriva il mo- mento di fare delle riflessioni LETTERA da fare i conti LETTERA sul tempo che nessuno ti dice vola via come un tipo Particolare di vento Sono sempre stato simpatico a tutti, uomini donne belli e brutti LETTERA che non rimpiango nulla LETTERA a mio figlio LETTERA a mia moglie che non ha avuto un marito
Ciò che si manifesta nella vita di ognuno è iol frutto del pro- prio essere pensante e da ciò che si desume che, come ha affermato un saggio indiano (Krisnamutti), la maggior par- te delle persone incarcerate, esclusi pochi casi, non avreb- bero bisogno di essere impri- gionati bensì curati. Se lo scopo è il recupero si do- vrebbe accompagnare il carce- rato verso una diversa visione della vita; ovvero utilizzando un percorso positivo che può essere il lavoro e l’inserimento in strutture rieducative.
“Cosa siamo?! Niente in so- stanza “. Alla luce del sole dei Leoni, che combattono col proprio destino dentro una gabbia, imbattibili ma è solo apparen- za... Al calar di esso ci fa luce la Luna che illumina i nostri visi fragili e il nostro morale zoppicante... Illumina meglio, il duro confronto con noi stes- si. Ci fa riflettere in abbondan- za sul luogo disumano dove siamo intrappolati. Le ferite inesorabilmente si moltiplica- no, e nel tempo quelle cicatri- ci indelebili si osservano con quel pizzico di malinconia... Tutto quello che ci rimane , è un bel niente in sostanza .
Il primo è stato un portafogli. Lavoravo in uno di quei posti nei quali la gente lascia le cose incustodite perché tanto nes- suno le ruba. Poi sono passato io. Mi sono detto: “cavolo, in due minuti ho fatto i soldi che farei in due settimane di lavoro!” Mi era sembrato facile. Ov- viamente li ho usati tutti per comprarmi la bamba e in un giorno sono finiti. In quei tempi lavoravo e a parte la passione per le sostanze, ave- vo una vita regolare. Finita la stagione, trovandomi senza lavoro ho cominciato a fare furtarelli. Dopo due anni i miei mi buttarono fuori di casa in pieno inverno, per colpa mia naturalmente, dato che mi rifiutavo di andare a San Patrignano.
Sono detenuto nel carcere di Bolzano, ho 53 anni e una pena di sette anni di cui 4 già espiati. Il mio reato è stato commesso in Austria. Dopo il mio arresto avvenuto a l’Aquila e trascorsi circa due mesi nel carcere di quella città, sono stato estrada- to a Innsbruck. Da quello che si sente delle carceri italiane, credevo che all’estero la pena detentiva fosse più vivibile.
Questo mondo dietro le sbar- re non lo consiglio a nessuno e un mondo che a certi affascina e a certi porta alla disperazio- ne. E’ un mondo che spiegato a parole,guardato nelle foto o in televisione non si capisce re- almente. Non si può compren- dere quello che una persona prova. La situazione nelle car- ceri italiane non è il massimo, la vita non è facile ma posso anche dire che impari vera- mente il significato della vita, impari a dividere ogni cosa che hai, ad aiutarti uno con l’altro, a sostenere i compagni più deboli e bisognosi. Io ho imparato che da una parte non vale la pena fare quello che ho fatto perchè ho visto quanto ne soffre la gente che mi vuole bene.
Siamo simili, ma non siamo tutti uguali . È una vita difficile ma, va vissuta non si butta via... Se stai come me , guarda verso il cielo anche se manca il respiro. Se sei come me, puoi ripartire da zero E fare a pugni col Destino.
La verità è come il vetro, è trasparente se non è appannato. E per nascondere quello che c’è dietro, basta aprire bocca e dargli fiato.
Io mi trovavo nel buio, ma mai un buio triste come que- sto. Prima camminavo lungo le strade, ma mai lunghe, tri- sti e silenziose come questa. Ho assaggiato l’amaro prima, ma questo è ancora più ama- ro. Qui è un mondo fuori dal mondo, dove io non significo niente, sono solo un numero. Dalla mattina al risveglio mi sono sentito dire: -aspetta -non fare casino
Sulla persona: sono un sessan- taseienne di salute precaria, ultimamente degente in di- versi ospedali, più volte ope- rato al cuore (doppio bypass coronarico, valvola mitralica e revisione dello sterno), affetto inoltre da Diabete di tipo Mel- lito 2 e da problemi vascolari. Ritengo di non essere assolu- tamente compatibile con il re- gime carcerario. Condannato in contumacia a 3 anni e mezzo (cumulo di reati) si aggiungono 2 mesi e 20 giorni per guida in stato di ebbrezza.
Si sente parlare molto di carcere,parole dette e ridette,sulla sua funzione ,sulla degradante condizio- ne dei carcerati,è rimbalzata ovunque,fino allo sfinimen- to di ogni attesa... rimanendo spesso,solamente parole. L’i- nerzia regna sovrana,piena appunto di parole e pro- messe.
Qui tutto si rallenta e una persona cerca di adattarsi a questi ritmi. Sapere bene cosa ti aspetta a livello lega- le e’importante per cercare di rimanere coerenti con la pena ricevuta e per affron- tare meno peggio i giorni che passano e che sembrano tutti uguali.
Cos’è per voi la libertà ? Per me è solo un’illusione. Nel momento in cui sono nato , mi hanno tagliato il cordone om- belicale mi hanno sconnesso dalla mia libertà e ho capito che non lo sarei mai stato del tutto. Già i confini che hanno messo tra uno stato e l’altro osservandoli ti fanno perdere quella sensazione di Libertà, perché è come vivere in gab- bie invisibili ma leggermente più grandi
Per due cuori infranti Risorge un amore poco distante Per due occhi brillanti C’è un amore smagliante... Per due creature stravaganti L’amore non può essere insignificante Per me, che mi ha stregato L’amore è del futuro, presente e passato In un mondo privo d’amore Il mio cuore del tuo s’è offuscato Per colei che a tutto da un senso L’amore è immenso
Se nel tuo alto nido d’un glorioso cuore Per quest’aquila un sentimento si cova?! Reca al suo udito una melodia gioiosa Fai si che dal suo cristallo fragile non piova In un amore non corrisposto Per il mio cuore vagabondo è tempo di fuggire In un altro mondo senza pudore.... Ma da esso non si può fuggire
L’amore ai miei occhi Ti rende incantevole L’amore non è ingannevole Ti amo come fanno in pochi Ma l’amore è spregevole L’amore ai tuoi occhi Mi rende ancor più debole Cos’è l’amore Se non cristallo fragile
Le vostre lacrime di dolore dalle fiamme son diventate vapore....... Le vostre grida di disperato aiuto hanno mandato i paesi balcanici in lutto Quattro angeli avvolti dalle fiamme intrappolati tra ardenti lamiere fan piangere del mondo tutte le mamme son di sangue le lacrime vere
Stare in un posto distaccato dallo stress di sempre e de- dicarsi un’ora d’aria di relax, non incasinarsi nel caos abi- tudinale. Non imbattersi in persone assillanti e aggressi- ve. Sarebbe fantastico. Conce- dersi una sola ora lontani dai problemi di tutti i giorni. Non camminare senza rendersene contro, tra assassini, pedofili e stupratori. Non incrociare persone che sul viso hanno quasi tutti stampata quella espressione triste, depressa e sofferente, sarebbe meravi- glioso.
Vivo in un tunnel In un mondo parallelo al mondo reale Alla vita di tutti i miei cari Ogni mattina al mio risveglio credo di essere in purgatorio Sapendo già che la strada del paradiso è alle mie spalle, sapendo che prima di scende- re nei crepuscoli dell’inferno dovrò ancora vivere in quel mondo che ormai da tre anni non vedo dal quale mi sento escluso e abbandonato. Perciò vivo in un tunnel Ne sono entrato e sembra senza fine Tortuoso Pieno di ostacoli con i quali Quando arriverò alla fine Dovrò ancora farci i conti. Guardando il futuro Chiedendomi cosa ne sarà del mio di futuro Che sarà del tutto diverso dal passato!! La mia paura? È sentire la mancanza di que- sto tunnel Nel quale vivo di solitudine
A quarantanni sono qui, oltre a questo muro, che non parla. Ma vede e sente i miei lamenti, e per quanto alto sia, spezzi la mia libertà. Solo tu mi hai tenuto compagnia, in tutti questi anni ti ho scritto, e tu non mi hai risposto. Ti ho parlato, e non mi hai sentito.
Ti amo, forse perché Vedo in te il riflesso Di me stesso Ma non amo me stesso E forse è per questo Che ti odio al tempo stesso
Ognuno ha il suo punto di vista. Chi è sarcastico, chi è realistico e vede l’esperien- za di detenzione in una casa circondariale come una cosa negativa o chi come me ha un’angolazione della visuale positiva e fa prevalere l’otti- mismo per fare in modo che anche i risultati siano tali. Io hofattounpo’ditutteetre le cose per essere preparato ad ogni evenienza, ma cerco di cogliere sempre il lato po- sitivo di tutto e devo dire che alleggerisce le sofferenze di parecchio. Il tempo a dispo- sizione qui è molto più am- pio di quello che si ha fuori. Sta a noi sfruttarlo al meglio in modo che non vada perso inutilmente.
In questo mondo in cui viviamo, visto che per ades- so abbiamo solo questo, con l’aumento della popolazione mondiale, uno dei temi molto discussi, nei vari congressi, dai rappresentanti delle nazioni più influenti è stato l’inquina- mento con i tantissimi rifiuti che la popolazione abbandona nell’ambiente (senza troppa attenzione) nel corso della pro- pria esistenza.
Mi hanno chiesto di scrivere un pensiero su cosa riesce a togliere il carcere all’uomo. A questo punto mi sento di stillare una classifica, non in ordine di posizione perché tutte le privazioni vanno a pari merito al primo posto. La prima cosa che si prova entrando in questo mondo è di sentirsi spogliare total- mente della propria dignità. Spogliare non solo metafori- camente, ma nel vero senso della parola. Quando ti ac- compagnano nello stanzino per la perquisizione, ti fanno spogliare totalmente nudo e ti invitano ad abbassarti per ve- rificare se nascondi qualcosa all’interno del tuo deretano.
Prima di entrare in carcere l’e- migrante continua a vivere in una specie di favola che gli ha lasciato il suo paese. Sognava di diventare qualcuno per po- ter dimenticare il suo passato, la vita di una volta, quando lui sopportava ogni tipo di sa- crificio con coraggio. Dicevano gli anziani: Io, come molti altri, sono par- tito alla ricerca di un sogno, per realizzare la mia favola, quella che avevo in Senegal e non conoscevo l’Italia. Quan- do arrivi e ti dicono: “tu non hai i documenti, non puoi la- vorare...
Signorina, vorrei renderti felice se i tuoi ti vogliono con me Ti hanno rinchiuso a casa per non vedermi Piccola mia non parto senza di te Aspetta finché la cupola azzurrina diventerà nera Scendi dal balcone ti aspetto nel bosco con il mio cavallo volante Pronto a trasportarci alle nozze Nel mio cuore le festa e già iniziata.
Se io fossi libertà, libererei tutti i prigionieri Se io fossi vento, soffierei tutti i muri del carcere Se io fossi musica, farei compagnia ai detenuti Se io fossi sole, darei luce a tutte le celle Se io fossi carcere, cambierai nome.
Forse sei un angelo Forse sarai un destino La mia barca d’amore Non sbarcherà per sempre nel tuo (a)mare Sei un dolore profondo nell’ anima Non sarò mai il tuo dolce bambino Addio
Se fossi Se io fossi il sole, splenderei per i miei figli, se io fossi il vento, soffrirei abbracciando i miei figli, se io fossi l’acqua, scorrerei per dissetare i miei figli,
Se fossi io, saprei amare Se fossi sabato, resterei tutti i week end con te Se fossi oro, di darei questa ricchezza Se fossi libertà, sarei sempre accanto a te Se fossi macello, ucciderei tutte le persone che ti fanno del male Se fossi famiglia, non ti mancherei mai Se fossi vento, soffierei nei tuoi capelli Se fossi non lo so, mi farei indicare da te Se fossi figlio, avrei voluto madre te
La pazienza governa la carne Rafforza lo spirito Addolcisce il temperamento Spegne il rancore Estingue l’invidia Sottomette l’orgoglio Impiglia la lingua Trattiene la mano Doma la tentazione Sopporta il dolore
Il carcere penso che sia il modo migliore per capire i propri sbagli, quando non si sono rispettate le leggi e le regole che la società ci impone. Io, trovandomi qui, sono riuscito a capire che quello che ho fat- to è sbagliato, di conseguenza tutto il male che sto passan- do mi servirà a diventare per prima cosa un uomo migliore e poi marito e padre responsabile.
La mia vita deve essere me- glio di prima, perché la mia vita prima era solo un modo per fare soldi, sia lavorando e anche non lavorando, e tante volte, anzi la maggior parte delle volte in modo illega- le, siccome io faccio parte di un’altra cultura e sono sinto.
Io che notoriamente dormo quasi sempre, stavo perpetrando nel mio hobby, quando ho sentito urla e rumori strani, non le solite cose, qual- cosa di nuovo, ma noi quasi tutti in cella con la porta chiusa, chi si aspettava una cosa simile. Ad ogni modo pian piano raggiungo la sensazione di quanto stava accadendo, ma a noi, al sicuro nella nostra cella in “Terza” con la porta chiusa, neanche il fumo abbiamo sentito, almeno personalmente, fino a quando l’ora avanza e un agente gri- da alla nostra porta ”STATE CALMI-TRANQUILLI!”
Come sempre ero tranquilla- mente in cella, e ad un tratto sento il solito frastuono arri- vare dalla seconda sezione, che si trova al piano inferiore, ma siccome non era una novi- tà quel frastuono che si sentiva, non ci avevo neanche dato peso. Ma dopo pochi minuti comincio a sentire un leggero odore di fumo, socchiudo la porta blindata, per non senti- re più quell’odore, ma dopo 20 minuti l’odore aumenta, mi affaccio alla finestra che guar- da verso il fiume e al muro di cinta per chiedere all’assitente di polizia penitenziaria che cosa stava succedendo e per- che c’era l’odore di fumo, ma l’assistente essendo sul muro di cinta non sa rispondermi .
Il mio cambiamento pratica- mente è iniziato dal giorno che sono entrato in carcere. Ho iniziato a maturare l’idea di un cambiamento radicale un po’ di tempo prima di essere arresta- to. Sentivo dentro di me quella voglia di diventare un ragazzo normale, capace di fare sacrifi- ci, lavorare onestamente, capire cosa potesse significare avere un impegno a lungo termine. Sentivo che era venuto il mo- mento di avere un progetto di vita che mi desse stabilità nella società in cui viviamo.
Porco cane! Avevo un bel cane, porco cane! Ma mi hanno portato qui, zio cane! Stavo sempre col cane, io e il cane, ero solo con il cane, ma ora... senza il mio cane, sono solo come un cane, porco cane! E il cane? L’ho lasciato, povero cane, anche lui solo come un cane. Io amo il mio cane, alle volte non mangiavo per il cane e ora mi manca tanto, porco cane, quel povero cane.
La trasformazione delle carceri è iniziata negli anni ’70 con le prime contestazioni esterne, lotte studentesche e operaie nelle scuole e nelle fabbriche. Dopo il 1970 nel carcere si sono svolte le prime sommos- se, solo per poter ottenere un fornello per fare il caffè o per avere la TV e per fare dei col- loqui con i propri famigliari, per essere trattati in modo non dico decente ma almeno che si avvicinasse ad essere umano, perché prima erava- mo trattati come leoni in gab- bia. Onestamente parlando, ora non è che si viva poi tanto meglio però perlomeno ab- biamo la TV e la doccia ogni giorno.
Poetando Non morire per non vivere, non vivere per morire da libero... Fa venir voglia di morire... Ci definiscono “Zombie” (morti viventi), ma siamo solo delle Anime sofferenti. Vi regalo queste lacrime, affinché voi sappiate che; “Anche gli Zombie hanno dei sentimenti.
Le tue labbra dolce miele, Le uniche che vorrei sono elle... Le tue guance con quelle fosselle, Le uniche così morbide e così belle... Il tuo sguardo così profondo, Ha fatto sì che mi fossi incantato... Del tuo cuore assai puro per questo mondo, Avrei peccato se non mi fossi innamorato... Tante me ne mandarono gli Dei, Ma tra tante sei l’unica che vorrei... Ciao Dolce Miele
D’intanto scorgo nei meandri del cuore qualcosa che cresce scorie del tempo sedimentano piano fino a colmarlo fuori il tempo si fa misterioso e chiudo le imposte alla comprensione
È vero, non vi ho mai detto vi amo, ho sempre pensato che fosse una parola antica, non so se sapete che vi amo. Quando si sente nel cuore è vero amore. Quando c’è il vero amore si combatte.
Dove vai fratello? Il mare non lo vedi? Dove vai fratello? La patria perché la ferisci? Non lo vedi il cielo? Le nuvole lacrimano Non lo vedi il mare? Le onde biancheggiano
A che serve una vita senza una meta A che serve un giorno senza un domani A che servono gli occhi se intorno è tutto buio A che serve una casa quando si è soli A che serve pensare se non hai a chi pensare A che serve dire qualcosa se nessuno mi sta a sentire
Vorrei fuggire, essere libero, (come il vento per un solo fiore) Vorrei vivere per me stesso, con la mia pietra più preziosa... Vorrei perforare la nostra nuvola oscura, Con tutta la mia forza, farla diventare rosa...
Sono qui in carcere da tre mesi perché mi è andato male un Percorso Terapeutico. Mi sono organizzato per un’altra misura alternativa cioè la semilibertà. Non sarà facile ottenerlo poiché purtroppo ho rotto un beneficio, ma tenterò comunque. Io ho già ricevuto la disponibilità piena di uno studio di com- mercialista nel quale potrei fare il tirocinio. Si tratterebbe di un tirocinio che dovrebbe attivare la scuola professionale Einaudi su richiesta dell’assistente sociale dell’ufficio esecuzione pe- nale esterna. Io personalmente sarei felice se mi concedessero questa possibilità perché lì nello studio conosco già tutti e sono certo che mi troverei bene. Dovrei però parlare prima con l’as- sistente sociale che dovrebbe fare la richiesta alla scuola Einau- di sempre se lei è d’accordo con questo progetto. Io spero che presto possa parlare con Lei in modo che questo mio progetto sarà attivato. So che ci vorrà del tempo e devo avere la pazien- za sicuramente per altri due mesi.
Sono un detenuto, uno dei 67.000 e passa detenuti in tut- ta la penisola. Torniamo per l’ennesima volta al sovraffollamento, per affrontare altri problemi che questo determina, come l’impossibilità di un minimo di privacy che sarebbe necessaria a ricaricarsi emotivamente e aiutare così lo spirito di ognuno di noi a riossigenarsi, ritrovare la propria identità di persona per affrontare con un po’ di dignità questa clausura forzata.
Potrei desiderare un viaggio in espresso al momento, oppure potrei solo desiderare un caffè espresso ma, io vorrei solo esprimermi. Comunque sia il fatto sta che si parla di desiderio e io il mio l’ho espresso. Desiderare ti dà la forza di andare avanti nonostante tutto, sperando che un domani il buio di questo abisso s’illumini, ti dà grinta e voglia di non arrendersi mai.
Questa è la domanda! Oltre le mura di cinta?! Chi vive dalla mia parte del muro, che noi privati della libertà non possiamo Oltrepassare. Abbiamo una doppia visione di queste Mura Abbiamo creduto di dare il meglio li fuori per sopravvivere. Di lottare per i nostri figli, le nostre famiglie, perchè potessero avere il giusto nel limite del possibile, per salvarci da questa crisi. Che ha distrutto tante famiglie.
“Dove sei mamma?” “Mamma, come mai mi hai lasciato solo? Dimmi perché!” “Come mai non ho nulla da mangiare?” Vi siete mai fatte domande del genere? Esistono delle persone che se le pongono ogni giorno e sono solo una piccola parte delle tante domande. Allora, come mai esistono ancora domande di questo tipo nel 21° secolo? Chi sono queste persone? Noi li conosciamo sotto i nomi “stranieri” o “quelli” oppure semplicemente “loro”
Festeggiare? Ballare? Sballarsi? Alcol e droga? Tutto mischiato per un fine settimana da urlo, con la scusa di fare festa con gli amici. Non c’è nessun motivo? Non fa nulla, ce ne inventiamo uno. Divertimento puro. Ragazzi e ragazze di tutte le età assieme.
Buon giorno, chi scrive è un ragazzo arrivato dalla Sicilia (Catania). Voglio raccontare come si vive ogni singolo giorno dietro queste 4 mura. Sono passati quasi 4 anni da quando sono stato rinchiuso, ma adesso che mi rimangono 2 anni e mezzo posso cominciare a pensare alle possibilità che potrò avere per poter usufruire di qualche misura alternativa sono in una cella di 8 persone di cui ogni singola persona vive la sua giornata a modo suo, per far passare il tempo il più presto possibile. Mi immedesimo nelle difficoltà che i miei compagni di cella hanno.
Se pensiamo alla gioia immaginiamo che sia un momento splendido della nostra vita dove ci sentiamo senza dubbio alcuno in uno stato di benessere, quasi invincibili e quanto altro riusciamo ad immaginare di essere in quel momento. Si, perché si tratta appunto di un momento che come tutte le cose belle hanno un inizio e una fine. Quindi se ci soffermiamo per un momento a pensare cosa ci è rimasto di quell’attimo di gioia vissuta… Cosa ci è rimasto?
A Moussel, l’antica Ninive della Bibbia, viveva una famiglia famosa: il figlio era un poliziotto, il padre pubblico ministero, il nonno giudice. Come se non bastasse alla fama e al potere di questa famiglia si aggiungeva che molti dei parenti erano avvocati. Viveva in questa città anche uno straniero che era scappato dal suo paese per motivi politici. Il nome non possiamo dirlo, ma per capirci lo chiameremo con un nome inventato “Omar”.
Da mesi e mesi non si parlava o scriveva di altro: la grande Repubblica d’Italia si apprestava a festeggiare i 150 anni di unità nazionale… Questa ricorrenza, questo grande evento che unisce tutto il Paese, era ed è stato cosi importante per tutti gli italiani, che il Parlamento di questa grandissima Nazione unita è riuscita a malapena a decretare il 17 Marzo giorno di festa nazionale solamente qualche settimana prima della ricorrenza. Probabilmente i cervelloni chiamati “ Onorevoli “ erano cosi stravolti dai vari problemi riguardanti il Bunga-Bunga, che solamente qualche calendario trovato per caso sarà riuscito a riconnetterli in tempo.
Abbiamo aderito allo SCIOPERO PACIFICO della fame promosso dall’On.Pannella dal 14 al 20 maggio 2011 rifiutando il carrello governativo ed effettuando le battiture per 2 ore al giorno. Non possiamo più vivere in oltre 70.000 con 42.000 posti regolamentari. Siamo esasperati nel vederci precludere le misure alternative ed il nostro reinserimento quando le leggi sulle pene alternative sono già legge scritta ma QUASI MAI APPLICATA.
Cari lettori è inutile che mi dilunghi in discorsi infiniti e inutili su cosa è ormai diventata in Italia l’applicazione delle pene alternative, anche perché la situazione non cambia, rimane sempre la stessa. Sta di fatto che attualmente i posti “regolari” disponibili nelle 216 carceri Italiane sono 42.000 a fronte di una presenza effettiva di oltre 70.000 detenuti.
Per mia esperienza personale, dopo aver vissuto oltre dodici anni in carcere posso dire semplicemente che l’esperienza prolungata all’interno di una struttura penitenziaria ha per certi versi, un impatto positivo se parlo della riscoperta dei veri valori della vita in sé. Mi riferisco alla famiglia, alle persone a noi care e a tutte quelle piccole insignificanti cose che quando si è liberi non vediamo perché presi dalla frenesia quotidiana, in carcere ogni giorno è sempre uguale.
Voglio prendere spunto dal libro “Miseria e Nobiltà” perché con scarpetta condivido la napoletanità, ma anche perché questo testo mi ha fatto riflettere. La miseria non è solo quella che rende pezzenti, che fa vivere in una stanza e cucina due famiglie intere. La vera miseria è la mancanza di quella famiglia, di quegli affetti.
Sono un ragazzo 32enne nato in Marocco e residente in Italia da ormai 21 anni. Fino al mio arresto avvenuto nell’ottobre del 2009. Ho sempre lavorato regolarmente e vivevo una vita tranquilla. Appena entrato in carcere, dopo un solo giorno, sono stato rinchiuso in una cella insieme ad un malato di mente. Lui è stato il mio compagno di cella per due mesi, periodo durante il quale dovevo fungere da piantone notturno con con- seguente impossibilità di dormire una notte intera.
In una piccolo paese vicino Mossul, viveva un povero contadino che, nella sua stalla, aveva due o tre animali, miseri come lui: una pecora, un gallo e un asino che gli serviva per tirare l’aratro, per trasportare al mercato i suoi prodotti e gli faceva anche compagnia, più di sua moglie. Nello stesso paese viveva un giudice ricco, potente e rispettato da tutti. Anche il giudice aveva un asino insieme a tanti altri animali che riempivano le sue stalle. Il pomeriggio di un giorno d’estate, caldo come tutti gli altri giorni, il povero contadino lasciò il campo e tornò a casa per ripararsi dal sole, mangiare qualcosa e riposarsi un po’ prima di tornare al lavoro.
Mi è stato chiesto di scrivere un articolo per Voci dal Silenzio. Ho pensato a lungo quale argomento descrivere per non cadere nell’ovvietà e nella retorica, ragione per cui non avrei voluto scrivere del carcere, ma trattandosi di una rivista scritta da detenuti cercherò di attenermi a questa tematica anche perché sono convinto che ognuno viva la detenzione in maniera diversa e questo comporti innumerevoli punti di vista che possono trasmettere sensazioni nuove ed originali. Non parlerò qui del reato che mi ha portato in carcere, descriverò piuttosto alcune mie osservazioni personali riguardanti esclusivamente la detenzione.
Chi realmente sconta la pena è la famiglia, ogni giorno, affrontando i problemi che si lasciano fuori. Famiglie spesso all’oscuro della doppia vita del marito, del compagno, del figlio. Quando si tolgono i veli è troppo tardi, tutto si scopre quando arriva il conto da pagare. Ma chi è fuori ancora raccoglie le forze per continuare a regalare amore, supporto a chi li ha sempre traditi. Figli costretti a vivere la vergogna di un padre che ha sbagliato.
Questo è il Natale in carcere. Si fanno strada i ricordi, come ombre minacciose e tristi dei Natali trascorsi in famiglia. Quanti anni sono trascorsi! Tutti gli anni, la sera della vigilia, la famiglia si riuniva per la cena che in realtà era quella di tutte le sere, in più’ era solo il panettone che mangiavamo intorno all’albero. E poi le canzoni cantate tenendoci per mano attorno all’albero. I miei santificavano tutte le feste litigando, io ormai non ci facevo più caso, era sempre tutto uguale. Ma perché allora ho tanta nostalgia di quei Natali in famiglia?
Oggi vogliamo scrivere spontaneamente della nostra storia. Veniamo dall’Iraq. Noi siamo tre veri amici dal 1994. Abitavamo nella stessa strada. Proveniamo tutti e tre da famiglie borghesi (in vista), vivevamo bene in Iraq. Abbiamo trascorso bei periodi insieme, naturalmente ci sono state delle difficoltà, ma siamo sempre rimasti uniti. Sebbene molta gente fosse contro di noi, la nostra amicizia era più forte di tutte le difficoltà ,essa non conosceva confini. Negli anni 90 le nostre famiglie ebbero sempre maggiori problemi con il regime di Saddam Hussein.
“Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era smarrita" Citava così, Dante, in una delle sue più grandi opere, una citazione, l’inizio di un cammino, che più o meno tutti hanno vissuto, per motivi diversi; per varie ragioni, ci siamo trovati, quasi tutti, in quella selva oscura, dove abbiamo, a fatica, iniziato il cammino alla ricerca della serenità interiore. Mi presento. Sono Riccardo e sono un detenuto della C/C di Bolzano.Sono qui dall’agosto 2009, dopo aver vagato, per lungo tempo in quella selva oscura, resa ancora più oscura dall’uso, meglio, l’abuso di stupefacenti e alcool.
Quante volte ho avuto l’occasione di muovermi per la città e, nel mio girovagare, passare davanti al carcere e chiedermi cosa succede in quel luogo! Molto probabilmente quando uno vive una vita normale, non gli passa neanche per la testa di pensare come sarà la vita dentro un carcere, non immagina neanche come è la realtà. Bisogna essere dentro per vedere come è la realtà nel suo specifico: si commette un reato, si viene arrestati, si viene trasferiti direttamente in carcere. Primo impatto: le manette, la vergogna, l’umiliazione, la consapevolezza che non sarai più considerato una persona come prima. La tua vita è “guidata” da altri, hai la fortuna di avere una “scorta”, ma non come quella dei VIP, delle persone che contano che, per la loro salvaguardia, sono circondate da Body Guard.
Guardando uno stuzzicadenti, fino a poco tempo fa, non mi chiedevo a cos’altro potesse servire oltre a ciò a cui è preposto: curarsi i denti: togliere quei fastidiosi pezzetti d’alimenti che si frappongono fra un dente e l’altro, pratica per altro poco elegante, ma senz’altro utile! Ebbene, la realtà carceraria mi ha fatto vedere altro oltre il pezzetto di legno di circa quattro centimetri, punte escluse. Ciò che ho visto creare dagli stuzzicadenti ha dell’incredibile.
Conosco la vita di strada da quando sono nato. Mia madre dopo avermi partorito è stata costretta a lasciarmi per strada. Era povera aveva troppi figli da mantenere e non aveva il tempo da dedicare ai più piccoli. Così è stato il freddo della strada ad accogliermi e le braccia di mio fratello erano l’unica mia sicurezza, l’unica garanzia di sopravvivenza. Avevo ancora gli occhi chiusi all’inizio, ma man mano che crescevo davanti a me ho visto solo miseria: gente che faceva la propria casa nei bidoni, dormiva nei cartoni.
Il passatempo in un carcere, di qualsiasi durata, per qualunque detenuto, è una pedina fondamentale per attraversare questo periodo, già buio del suo. Ovviamente c’è una grande percentuale di carcerati che preferisce farsi passare il tempo senza impegnarsi in niente e con nessuno. Io, per fortuna, non riesco a stare fermo senza tenermi occupato, però vorrei definire meglio la parola “passatempo”. Smontandola arrivo subito al punto, cioè: mi faccio passare il tempo!!
Non c’è più tempo, nessuno ha più tempo ne per sé ne per gli altri, brutto affare. Non c’è più nemmeno il tempo per mettersi ai fornelli per un buon pranzo. Supermercato, forno microonde e via, quasi piatti monouso.. almeno a mezzogiorno. Brutta storia non avere più tempo. Ma c’è un posto dove l’unica cosa che non manca è il tempo. Una favola? No. Il carcere.
Come vi avevo detto nell’ultimo giornalino, in questo 4° numero vi racconto un pochino la struttura carceraria e, in parte, il suo funzionamento. Il carcere fu costruito alla fine del XVIII secolo, sotto il dominio austro-ungarico, dall’Imperatore Francesco Giuseppe. Quindi penso che, se questo luogo di sofferenza e pena sapesse parlare, ne avrebbe da raccontare di cose brutte e penose che si sono svolte prima, durante il dominio asburgico, poi durante la guerra del 1915-1918 e, successivamente, durante quella terribile del 1940- 1945, nell’epoca fascista e nazista. Seguirono gli anni ’60, i cosiddetti anni di piombo, quelli degli attentati terroristici dei Sudtirolesi, e ancora gli anni ’80, quelli dei processi per terrorismo e ai primi clan delle associazioni mafiose.
Il rumore assordante e tagliente degli enormi portoni di ferro che sbattono e le serrature che scattano alle tue spalle quando entri in carcere ti accompagna quale sonoro delle paure, incubi e timori che provi per tutta la detenzione. Non ci sono parole per descrivere l’essere privati della libertà: bisogna provarlo. La mia non è una detenzione lunga, attualmente sono detenuto da poco più di tre anni.
Ogni tanto mi affaccio alla finestra, attraverso i riquadri delle sbarre vedo scorrere il fiume al di là delle passeggiate, l’ex sede dell’Alto Adige. Sotto il muro di cinta passeggiano i cani con i loro padroni, quelli che fanno jogging. Al mattino sulle passeggiate passano i ragazzi e le ragazze che vanno a scuola, sono lontani e non riesco a vedere i loro volti. Guardando dalla finestra mi sento distaccato, di ghiaccio.
Voglio iniziare con queste due righe l’articolo sul giornalino del carcere! Purtroppo !!! E non è la parola giusta per quello che sto scrivendo, ma non ne trovo una più adatta, scusate! Il giorno 8 febbraio 2009, una domenica come tutte quelle che si passano qui dentro - da noi si dice una giornata di merda. Di colpo (alle ore 16:00 ) si osserva un via vai di agenti che iniziano a rinchiudere di corsa tutti i lavoranti (noi eravamo gia rinchiusi). “Cosa sarà successo?!” ci chiediamo.
Un giorno di tanti anni fa ho varcato i cancelli del carcere. In macchina dei carabinieri. Mi hanno fermato per strada, l’appuntato si è avvicinato, mi ha chiesto i documenti, ha letto attentamente.§ In un attimo mi sono trovato tra tre uomini in divisa che confabulavano in modo a me poco chiaro. Uno di loro col volto scuro, ben rasato, un’aria cupa ma gentile mi ha detto “venga con noi”.
Ho poco più di vent’anni, una vita particolare, qualcuno direbbe difficile. Conosco poco, quasi niente, le radici della mia cultura. Non conosco le storie, i riti, i racconti, le usanze e le credenze che appartenevano ai miei nonni. Conosco solo la lingua. Sono in carcere da qualche mese, ma già ne ho viste di tutti i colori: gente che litiga per stupidaggini, per cose senza senso.
Iniziamo a dire che ci sono dieci posti letto in questa cella. Attualmente i personaggi all’interno di essa sono nove: ZAJO, IL GOBBO, FACCIA D’ANGELO,IL ROMANO, MAX, IL LUNGO, IL TARTARUGA, IL RAGAZZINO E L’ESTRADATO.
La vita in carcere… non ci sono parole per farvi capire com’è veramente. Non bastano delle parole per descriverla. Non basta un bel disegno per raffigurarla. Bisogna provarla di persona. Non vuole essere un invito a provarla, intendiamoci. Sono qui per cercare di farvi capire il meglio possibile come funziona qui.
Mi è sempre piaciuto andare a fare la spesa, da bambino accompagnavo mia mamma all’unico A&O esistente in paese con la speranza che mi comprasse qualche buon dolcetto o qualcos’altro di buono. Giravo per tutti gli scafali con la voglia di aver tutto quel che al momento avrei desiderato e quando ricevevo il permesso di mettere qualcosa nel carrello la scelta diventava assai ardua.
Passeggiava tranquillo per gli stretti vicoli del mercato il giovane giardiniere del sultano. Osservava curioso le bancarelle quando, appoggiata ad una colonna, vide unanerafiguracheloosservavacon sguardo indecifrabile. Era giovane, ma non privo di esperienza il ragazzo e la riconobbe subito: era la morte e guardava proprio lui. Un freddo sudore gli imperlò la fronte.
Comunicazione fra corpo, anima, mente. Ci troviamo in una piacevole tenaglia del tempo e dello spazio e quello che manca è il silenzio! Tutto questo spazio in carcere non lo meriti. Ah, se riesco a riunire questi tre elementi, nasce il bellissimo, raro fiore del deserto.
Se io potessi… è un po’ come trovare la lampada di Aladino e sentirsi chiedere dal genio che ne esce sfregandola: “Esprimi un desiderio ed io te lo esaudirò”. Davvero un bel colpo di fortuna, ma come essere certi di non avere rimpianti in futuro, riguardo al desiderio espresso?
Sono nato nella ex Jugoslavia ho frequentato la scuola professionale come tecnico per macchine agricole. Mi sono diplomato a 19 anni. Ho incominciato a lavorare con mio padre che ha una ditt a di riparazione di macchine agricole, ma in casa c’era bisogno di qualche cosa di più. Parto e a arrivo in Italia come clandestino in cerca di lavoro. Non ero nuovo alla migrazione. Verso i 17 anni sono andato in Grecia a raccogliere pesche e olive. In Italia l’attività più buona era quella di lavorare nel settore automobilistico.
Con questa mia lettera voglio sopra ogni cosa farvi capire quanto vi voglio bene. Io, padre, ora detenuto dallo stato e ostacolato dal poter stare con voi quando ero libero. La lunga lontananza tra noi non ha fatto e non farà mai cambiare il mio amore nei vostri confronti, nessuno e niente potrà far sì che questo accada. A meno che voi un giorno, quando sarete più grandi, non mi direte: papà non ti vogliamo più. Allora getterò le mie speranze e quel pezzo di cuore rimasto illeso dalle dure prove della vita che non mi ha mai riservato grandi cose, tranne voi.
In una piazza della Palermo vecchia, gioiello barocco cittadino, viveva un barbone che tutti chiamavano l’uomo-cane, intorno al quale era fiorita una leggenda. Si raccontava che era stato un “uomo per bene” e agiato, di buona famiglia e di sudati studi, che si era ridotto così per un amore disperato, che nella Sicilia di quegli anni non poteva essere diventato tale, se non per motivi di corna. Una storia di tradimenti lo aveva traumatizzato e spezzato per sempre. Non so se questa versione dei fatti fosse vera, ma so che l’uomo- cane era benvoluto da tutti ed aiutato da molti.
No, non è un collegio per bambini cattivi. La vita nei reparti (braccio sezioni, che dir si voglia) è durissima. Edifici, per la maggior parte fatiscenti, che contengono esseri umani con le loro storie più o meno disperate. Un mondo a parte del quale molti sanno poco o nulla –e molti nulla vogliono sapere- ma che pone domande e chiede aiuto. Mondo complesso quello del carcere, fatto di leggi scritte e non scritte. Un mondo che una certa cultura del disinteresse ha mantenuto lontano dalla società. Occuparsi dell’emergenza del sovraffollamento dei penitenziari può apparire, agli occhi della società (persone perbene), un impegno inutile e dispendioso (più utile spendere milioni di euro per missioni di “pace”). Si è parlato per mesi di indulto, amnistia, per mettere un freno al problema. È stato concesso e non ha portato a nessun miglioramento.
Chi è più felice? Chi unisce o chi divide? Chi costruisce o chi rompe? Chi dà o chi prende? Io penso che voi conosciate la risposta. Crescere, crescere, crescere. Pare che il nostro destino, il nostro benessere, la nostra felicità, dipendano dalla crescita, abbondante e costante. La crescita si misura con il P.I.L. (prodotto intero lordo), il quale dipende da quanto consumiamo, perché il prodotto dipende a sua volta da quanto noi riusciamo a smaltirla, consumando. Dovremmo dedurre che i popoli più felici siano quelli con il P.I.L. più esuberante.
Quante volte ci capita di sentire un bambino gridare o dire fra i denti “Non e giusto!”, quante volte egli prova il sentimento di essere giudicato colpevole di una azione che non ha commesso o crede di non aver commesso o non ritiene cattiva? E questo non capita solo ai bambini ma anche agli adulti ogni volta che sentono l’ingiustizia di un esclusione non meritata, di un riconoscimento non ott enuto, di una prova non superata, di un licenziamento non giustificato, di un abuso subito.
Avevo fatto tutti i preparativi per festeggiare i miei 50 anni con amici e parenti, ma a causa di un mio sbaglio non ho avuto questa opportunità che aspettavo con ansia. Un mercoledì mattina, alle 5,30 mi ferma una pattuglia della guardia di finanza, al casello di Vipiteno, sembrava che aspettassero solo il mio arrivo, e nel controllare l’interno del mio camion, trovano quello che ha causato la mia rovina come uomo, si avevo accettato di trasportare una valigia contenente la cocaina, accecato dal guadagno facile, forse a causa del mio intento di mettermi in proprio come trasportatore, oppure dallo stesso ragionamento degli altri, “Lo fanno tutti ci provo anch’io”
C’è una cosa in particolare che ho riscoperto nella mia esperienza detentiva: il piacere di scrivere una lettera a mano, con la mia calligrafia a volte indecifrabile ma, intima e riservata. Una tradizione antichissima che ha avuto un’improvvisa caduta con l’avvento del telefono. Nel corso della storia, troviamo molte citazioni legate alla scrittura epistolare.
Prima di iniziare ad esporre il mio punto di vista sul problema “carceri – sicurezza pubblica – criminalità” argomento che da anni i media trattano con alternanze di fermezza o buonismo, a seconda dei fatti eclatanti che purtroppo ormai sono sempre più frequenti. Premetto; per rassicurare chi leggerà queste mie parole, che non ritengo che il carcere sia da abolire, anche perché fino ad oggi è l’unico sistema conosciuto per difendere la società dal crimine. Non credo con questo che le mura del carcere diano i risultati sperati dalla società stessa.
La pena di morte è una pura punizione; chi ha ucciso deve morire. Questo serve da monito agli altri in modo che non compiano reati, non è affatto così, come sostengono i suoi sostenitori, una prevenzione………
“…quando ci si lascia alle spalle la porta del carcere, se ne apre un’altra molto più difficile e dura, soprattutto per chi non ha riferimenti dove appoggiarsi, nella fase delicata dell’impatto con la realtà.” Così mi raccontava un compagno di cella e mi diceva, con la sua lunga esperienza detentiva, che per molti di noi, sarà così al momento della scarcerazione. La gioia della libertà è cancellata dal buio dell’immediato futuro.
Ricordo la prima volta, si andava a giocare in Via Vintola, campionato a sette, avevo 11 anni. Quelli di Cristo Re, dove si andava a giocare di solito, ci avevano dato le maglie verdi e nere, a me solo nera perché stavo in porta, eravamo una squadra. In via Vintola ci arrivai in bici dopo aver chiesto la strada a tre persone ma arrivai comunque con quasi un’ora di anticipo. Stavano giocando altre due squadre e di Gino mi accorsi subito.
‘’Ci sono carceri comodissime’’ ha detto una studentessa bolzanina all’ex magistrato di Mani Pulite Gherardo Colombo, a Bolzano per incontrare i giovani e parlare con loro di educazione alla legalita’. ‘’Ma tu sei mai stata in carcere?’’, le ha risposto caustico Colombo. Non non c’era mai stata. E speriamo che non ci vada mai. Men che meno nelle carceri di Bolzano.
Lunedì: Inizio della settimana, sveglia alle 8.00, coda per il bagno, ti vesti, coda per parlare con l’educatore, ti bevi un caffè dopo aver fatto la fila per prendere il latte, due chiacchiere con i vicini di cella e poi coda per vedere se ti è arrivata la posta, pranzi con la solita pasta, pulisci la cella, quindi fai la coda per farti una doccia, vai a prenderti una boccata d’aria in cortile sempre sperando che non sia occupato dalla solita partita di pallone, ore 15:15 si rientra in cella, si fa una piccola merenda e ci si da una mano per preparare la cena, ore 19:00 circa, si cena guardando il TG aspettando notizie di condoni, poi si guarda un film e buonanotte al secchio.
Stavolta ghe semo… Sto giro no se oponi gnanche Bossi Sembrerà strano ma pareria che anche i fascisti saria disposti a parlar! Vecio mio, me sa sai che sto tiro ragiungemo sti benedetti do terzi … no pol esser altrimenti
E’ l’ultima, l’ultima, lo giuro! Questa volta ce la faccio. La mia carriera di fumatore impenitente è giunta al termine. Non posso continuare ad aggirarmi nel cimitero dei miei buoni propositi alla mia età. E infatti già mi sento meglio. Sono dieci minuti esatti che non fumo e mi sento bene. Mi sembra già che sia iniziata una nuova vita. Il passato di vizioso lo vedo già lontano alle mie spalle.
Di tutto pensavo di poter trovare in carcere ma proprio non pensavo di trovare code ovunque sveglia alle otto coda per il bagno t’infili i vestiti coda per parlare con l’educatore
Con lo spasso e l’istruzione ho conosciuto un brontolone Infinita dolcezza e grazia cristallina ecco a voi la Mirellina
Tante volte mi sei sfuggita per poi riapparirmi all’improvviso, come d’incanto… per magia, da sempre credevo d’aver capito quanto tu sia essenziale per la mia esistenza.
Un altro momento di malinconia, di solitudine; un altro momento di quelle ore passate chiuso tra te e te a parlare con i tuoi ricordi, a sorridere alle tue speranze.
Aspettando l’amnistia cerchiamo di far passare questo tempo nel modo migliore che possiamo, ovviamente siamo sempre interessati a leggere i giornali e guardare i TG per vedere se danno notizie fresche di giornata.
Malinconiche e desolate erano quelle domeniche che non passa- vano mai, poche auto in giro solo cemento, le aree verdi stavano per scomparire avevano appena finito di costruire il ponte Paler- mo nel 74, i ghiaccioli costavano 100 lire , e il prete voleva sem- pre me come chierichetto perche ero “bello come il sole”(diceva lui) “un angioletto”, figlio unico con il padre tassista che lavora- va sempre anche ai festivi e la madre che accudiva la nonna in sedia a rotelle. Negli anni 70 si correva al cinema in Piazza Cri- sto Re a guardare le prime vi- sioni di Bud Spencer e Terence Hill, spesso quando finiva il film si rimaneva nascosti in galleria per riguardarlo e per poi tornare nella casetta di 40 metri al quin- to piano in Via Duca D Aosta.
Sono nato a Kairouan in Tunisia, un paese al centro della Tunisia. È un paese con una grande e rinomata moschea e un centro storico ricco di cose antiche. Ci sono i cammelli fanno girare una ruota per pompare l’acqua da sottoterra che poi va in una cisterna e viene offerta ai turisti. A Kairouan ci sono 2000 abitan- ti. Alcuni fanno gli agricoltori, altri tessano i tappeti, ci sono poi fabbriche di camion, di dolci, di sigarette, di vestiti, che impiega- no sia persone del mio paese che quelli vicini. Molti europei han- no investito in Tunisia e danno così lavoro ai locali.
Il carcere, si sa, non è una cosa ne facile né bella da affrontare, soprattutto da superare. Bisogna sapere che poi ognuno di noi in base all’espe- rienze vissute all’esterno si forma e impara come stare al mondo. Se hai lavoro che ti garantisce di gua- dagnare quello di cui hai bisogno per vivere, mangiare, una casa dove vivere. Con tutte le spese del caso; bollet- te della luce, gas, acqua, immon- dizie ecc ecc senza contare che poi bisogna anche vestirsi un po’ dignitosamente si arriva alla metà del mese che lo stipendio se non è finito ci manca.
Il sistema carcerario deve riabili- tare la persona. Non dico che lo Stato non aiuti la persona. Penso ad un deficit nella cooperazione, perché se si lavora sulla persona si ha l’opportunità di arrivare a un suo cambiamento. Non conosco le carceri del mio paese, ma ho un’idea di come sono. So che all’interno puntano tutto sul fattore militare per la riedu- cazione. Esiste ancora la tortura, il mangiare non è certo buono, c’è molto affollamento e si sca- tenano di frequente proteste che vengono sedate dalla polizia con la violenza.
Il carcere dovrebbe in teoria e in pratica riabilitare i detenuti a tenere un comportamento tale da non tornare una volta liberi a rei- terare. Dovrebbe garantire attraverso i corsi una formazione al lavoro e tenere uniti i rapporti con le famiglie soprattutto con chi ha bambini piccoli, perché non ac- cada che il detenuto, una volta tornato in libertà, si ritrovi solo e senza niente, con la possibilità di tornare subito a delinquere, per- ché non avendo più famiglia, una casa, un lavoro e i soldi, l’unica soluzione possibile è procacciar- si il sostentamento in qualsiasi modo, anche illecito.
PRISON MUSEUM
HEIMATKUNDE
HIDDEN ISLAM
THE PIGEON PHOTOGRAPHER
THE LONG 19TH CENTURY DIGESTED
BLUE AS GOLD
RORHOF