PRISON CHRONICLES / 2008 N.4
ANDREA E L'OMUNICANI
Paolo F
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In una piazza della Palermo vecchia, gioiello barocco cittadino, viveva un barbone che tutti chiamavano l’uomo-cane, intorno al quale era fiorita una leggenda.
Si raccontava che era stato un “uomo per bene” e agiato, di buona famiglia e di sudati studi, che si era ridotto così per un amore disperato, che nella Sicilia di quegli anni non poteva essere diventato tale, se non per motivi di corna. Una storia di tradimenti lo aveva traumatizzato e spezzato per sempre.
Non so se questa versione dei fatti fosse vera, ma so che l’uomo- cane era benvoluto da tutti ed aiutato da molti.
Viveva e dormiva appena dietro il sagrato di una chiesa semidistrutta, senza porte ne finestrone rosoni ne altare. Stava stravaccato tutto il giorno parlando da solo a voce bassa, cantilenante e si alzava solo per brevi e solitarie passeggiate nella piazzetta. Tra la barba fi tt a e sotto i capelli arruffati lampeggiavano due occhi scuri e forti.
Era un omone alto con l’aria assente e secondo i ragazzi del posto, aveva il cuore “preso ad unghiate”. Poi, un’estate, sparì.
Nessuno lo vide più, non se ne seppe più niente.
L’uomo cane mi è tornato in mente qualche settimana fa quando ho letto la notizia del barbone di Rimini, che aveva per casa una panchina e che un gruppo di mascalzoni ha tentato di bruciare vivo mentre dormiva
Le cronache dicono si chiami Andrea e che adesso ha ustioni gravi sul 40% del corpo. La polizia non esclude nessuna pista: teppismo, lite tra vagabondi, questioni di droga. Purtroppo l’amore questa volta non centra, non c’è nulla di romantico o di perduto nella vita di Andrea. C’è soltanto la deriva della nostra civiltà, il gusto tribale della bravata o lo scontro tra disperazioni e solitudini diverse. Quella dell’uomo cane era una storia di tradimento e di passione, quella di Andrea è una delle tante tristi cronache del 21esimo secolo. Purtroppo non è la sola, perché il dileggio o il rifiuto del “diverso” fanno ormai parte del paesaggio quotidiano.
La società vorrebbe disfarsi di tutto ciò che non rientra nella normalità (ex detenuti compresi). Più la società si indurisce contro i deboli e gli sconfi tt i dalla vita, più costoro ne avvertono il disagio e il malessere della convivenza con gli altri, quelli che dovrebbero essere “normali”, caritatevoli giusti.
Il quotidiano finisce così per triturarli nella ripetizione ossessiva della loro invisibilità. Si fa a gara nel far fi nta di non accorgersi di questi uomini, quando li si incontra li si scansa, per non provare il disgusto di essere sfiorati.
Meglio cancellarli dalla esistenza ordinata ed ordinaria.
Sono i clochard, i reietti, i vagabondi, gli “altri”. Moustaki cantava “con quella faccia da straniero” e regalava loro il fascino del mistero.
L’uomo cane conservava il retaggio delle leggende dell’amore tradito e questo dolore giustificava la sua esistenza in mezzo a noi. Il povero Andrea non ha un volto da straniero ne altro da offrirci.
Quindi può essere bruciato senza tentennamenti ne pentimenti tardivi di coscienza.
RORHOF