PRISON CHRONICLES / 2009 N.5
IL REATO
Massimiliano D.
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Quante volte ho avuto l’occasione di muovermi per la città e, nel mio girovagare, passare davanti al carcere e chiedermi cosa succede in quel luogo! Molto probabilmente quando uno vive una vita normale, non gli passa neanche per la testa di pensare come sarà la vita dentro un carcere, non immagina neanche come è la realtà. Bisogna essere dentro per vedere come è la realtà nel suo specifico: si commette un reato, si viene arrestati, si viene trasferiti direttamente in carcere.
Primo impatto: le manette, la vergogna, l’umiliazione, la consapevolezza che non sarai più considerato una persona come prima. La tua vita è “guidata” da altri, hai la fortuna di avere una “scorta”, ma non come quella dei VIP, delle persone che contano che, per la loro salvaguardia, sono circondate da Body Guard.
Già porti dentro di te il dolore per quello che hai fatto, per le ripercussioni che ha sul tuo ambiente familiare, sugli amici, i conoscenti, i paesani...ma questo non basta: c’è la foto (fronte, lato destro, lato sinistro) che viene applicata alla scheda personale, la stessa dove lascerai le impronte delle tue mani. Mani macchiate due volte: dal reato commesso, dal nero dell’inchiostro che riga il palmo della mano. Immagine che ti resterà stampata per sempre nettamente.
Se hai oggetti personali, li depositi nel magazzino e firmi l’elenco delle cose lasciate.
La perquisizione personale al termine della quale vieni portato nella tua cella è un momento di sconforto: la porta viene chiusa, le sbarre fra te e la libertà, il tuo spazio d’azione è annullato. Ti guardi attorno, valuti la situazione: i servizi, il letto, gli armadietti.
Cominci a riempire gli armadietti, prima pulisci tutto: mobili, pavimenti, piastrelle, servizi igienici...Poi cerchi di capire come dialogare con gli agenti, devi sapere come fare ad acquistare quello che ti serve, come fare a telefonare ai familiari, come e quando, come richiedere autorizzazioni per visite e colloqui.
Piano piano ti abitui, cominci a comprare il giornale per sapere quello che succede fuori da questo mondo chiuso, ti procuri un album per scrivere le tue lettere, un diario, il necessario per disegnare. Impari che ci sono i momenti d’”aria”, in uno spazio sempre recintato da alte mura e porte a sbarre, sorvegliato da agenti e da telecamere. Puoi passeggiare e giocare a pallone.
Piani piano ti guardi attorno: i primi tempi rimani da solo, scruti l’ambiente, ti dedichi ai cruciverba, leggi il giornale. Poi, col tempo, riesci a capire quali sono le persone con le quali puoi dialogare, magari perché ti affianchi nel passeggio e, piano piano, si crea quella confidenza che non ti fa più restare in disparte. La cosa più importante, quando entri in relazione con una persona in carcere, è non entrare mai nel “personale”, non chiedere mai il “perché”. E’ una forma di rispetto, se non è l’altro che sente la necessità di aprirsi perché ti considera una persona che sa ascoltare, senza giudicare.
La giornata è scandita da orari e riti ben definiti: prima visita mattutina degli agenti, colazione, ora d’aria, pranzo, se non ti cucini da solo come fanno alcuni detenuti, ora d’aria pomeridiana fino alle 15.30, cambio degli agenti, conta, cena, ultimo cambio di agenti verso mezzanotte. Così tutti i giorni, sempre uguale fino alla fine della pena.
Ogni giorno c’è l’attesa della corrispondenza, linfa vitale per i detenuti in quanto è una delle poche possibilità di avere contati con l’esterno. Con i famigliari solitamente, ma, per i più fortunati, anche con gli amici, i colleghi, i vicini di casa...
Il martedì ed il sabato sono giornate di colloquio: puoi incontrare i tuoi cari, puoi restare con loro un’ora alla settimana, se vengono da lontano le ore possono fino a sei al mese perché il colloquio, dietro autorizzazione, può durare due ore.
Non ci sono eccezioni se non per cose gravi, come il decesso di qualche persona cara.
E’ bello incontrare i tuoi, ma ha un prezzo: quando se ne vanno, cade la tristezza.
I detenuti hanno a disposizione un’infermeria ed una serie di servizi: psicologa, psichiatra, medici, assistenti sociali, educatori, cappellano ecc...ci sono poi gli uffici amministrativi ai quali puoi rivolgerti per varie necessità.
Su richiesta puoi avere colloqui con tutti, dalla direttrice al comandante, e puoi avere avere accesso ad altri uffici: matricola, traduzioni, magazzino ecc...
I detenuti sono di molte diverse nazionalità: albanesi, rumeni, ungheresi, polacchi, marocchini, tunisini, cinesi, egiziani, africani di varie nazioni, iracheni... gli italiani sono una minoranza. Un piccolo mondo molto particolare...
La conseguenza: maggiore impegno da parte di tutti che a lungo andare non solo logora le persone, ma limita anche le possibilità dei detenuti, dalla limitazione dei momenti d’aria, all’uso delle docce, all’accesso a tutti i servizi.
Tutto rallenta e porta all’insofferenza per tutto, per l’attesa di una risposta dell’Ufficio Matricola, per i ritardi nella consegna della posta e dei giornali quotidiani.
Non va poi dimenticato che l’incremento dei detenuti contrasta con le sempre più scarse risorse economiche destinate alla sicurezza, non sempre hai a disposizione con cadenza regolare un po’ tutto quello che serve.
Anche i lavoranti che svolgono i lavori nel carcere subiscono tagli, sia per quanto riguarda gli orari che vengono ridotti a parità di lavoro da svolgere, sia per il corrispettivo economico.
Le reazioni sono le più disperate, ma poi si lavora ugualmente. Serve anche per distogliere la mente dai pensieri che altrimenti affiorerebbero più del dovuto e che invece conviene allontanare per non cadere nel giro nero dei medicinali.
Carcere: luogo di detenzione dove uno deve scontare la pena del suo reato. Quasi ogni giorno nuovi ingressi e, per chi è già “dentro”, scatta la curiosità di “conoscere”, ma a questo pensa la stampa che prontamente sbatte in prima pagina articoli che non sempre sono obiettivi, anzi, nei casi che hanno maggior “eco”, sono conditi dalle riflessioni personali del cronista.
Basta mettere a confronto diversi giornali locali: si riporta il fatto, nomi cognomi, si telefona ai vicini di casa, si telefona ai parenti e poi un po’ di condimento senza chiedere la versione dell’imputato.
L’informazione è necessaria, ma certe volte è la prima a condannare e a determinare la condanna.
Nessuna pietà, ma i giornalisti prima di scrivere pensano a questo rovescio della medaglia!? E sì, anche loro hanno senz’altro una famiglia...perché non si limitano allo stretto necessario, senza dilatare la realtà, senza creare fantasiose deduzioni.
Forse pensano dentro di sé: tanto il popolo è mulo! Già dimenticavo: bisogna vendere, aumentare la tiratura del giornale così forse ci scappa il passaggio di carriera!
Deve esistere un’umanità di comportamento, un’etica, una morale nel riportare le notizie di persone che hanno sbagliato, o almeno dare le notizie, ma dopo aver sentito tutte le campane.
Il dolore di chi ha commesso un reato già logora l’animo del colpevole, dei parenti stessi che vengono anch’essi bollati dalla società e quasi costretti a muoversi nell’ombra, senza avere nessuna colpa diretta: perché spingere la lama del coltello in una ferita già aperta?!
Ma chiedere rispetto alla stampa è come combattere con i mulini a vento. A questo punto accetti tutto, anche se poi passi giornate che ti rodono il fegato e pensi ai tuoi cari che devono subire e ripercorrere sofferenze che, comunque, non ti abbandonano mai!
Si è consapevoli della “croce” che ci si porta addosso per sempre, ma l’accanimento gratuito dei media sembra veramente non umano!
Una pubblicità dice:”adottiamo un cane”... i detenuti non chiedono di essere “adottati”, ma, una volta scontata la pena, una volta chiusi i conti, chiedono quegli strumenti di recupero che servono per riabilitarsi, per reinserirsi in modo adeguato nella società come un essere umano che ha sbagliato, ma che merita ancora delle possibilità: ricomporre il “puzzle” famigliare, gli affetti, avere un futuro nuovo che gli eviti di ricadere nel baratro.
Serve l’impegno di tutti, grazie! Venire “dentro” è un attimo, più facile di quello che la gente può pensare, uscire è un vero problema.
A tutti nella vita può capitare l’occasione di commettere un reato, piccolo o grande non conta. In tribunale c’è una scritta - La legge è uguale per tutti -, la legge non, ammette ignoranza e un reato è un reato e lo devi pagare con il carcere, ma da nessuna parte è scritto che, a fine pena, tu ti debba trovare senza lavoro, senza soldi e, i più sfortunati, senza compagno/a e senza figli.
Quando ti trovi messo così, devi reagire, affrontare nella maniera più razionale la situazione che stai vivendo: dire “tanto prima o poi esco”, non ferma il tempo... c’è un solo modo per non cadere in questa situazione, per prevenire tutto questo: non commettere il reato!
GIUGNO 2010
RORHOF