LO STRANIERO E IL DOPO CARCERE
PRISON CHRONICLES / 2013 N.10
G.B.
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Prima di entrare in carcere l’e- migrante continua a vivere in una specie di favola che gli ha lasciato il suo paese. Sognava di diventare qualcuno per po- ter dimenticare il suo passato, la vita di una volta, quando lui sopportava ogni tipo di sa- crificio con coraggio. Dicevano gli anziani: Io, come molti altri, sono par- tito alla ricerca di un sogno, per realizzare la mia favola, quella che avevo in Senegal e non conoscevo l’Italia. Quan- do arrivi e ti dicono: “tu non hai i documenti, non puoi la- vorare... non puoi avere un lavoro, una casa...”, tutti i so- gni si infrangono e una favola si interrompe.
Guardi in faccia ad una real- tà che non conosci e forse ti fa paura, ma ti senti costretto ad affrontare. Inizi a frequentare la malavi- ta, l’unica che per farti lavora- re non chiede il permesso di soggiorno. Abbandono così la via giusta, incomincia a sbagliare, a com- mettere reati e la sua fine è il carcere. Un dito alzato vuol dire che punti a qualcosa, ma cinque dita alzate significa chiedere la carità. Lo si fa per mangiare, per bere, per comprarsi una maglia. Troppo spesso dimentichia- mo che tutti siamo persone, italiani e stranieri. Per come la vedo io, lo stranie- ro non chiede al paese che lo ospita di risolvere i suoi pro- blemi, chiede un lavoro. Spes- so però non trovi lavoro, ma solo sfruttamento, le opportu- nità vengono negate. Il carcere è un posto dove tut- ti soffrono, italiani e stranieri, ed è un luogo asl quale non ti puoi sottrarre se il destino lo decide. Un uomo detenuto non deve essere ignorato al- trimenti avrà solo la forza di peggiorare. Quando siamo qui, non ci pia- ce pensare, ricordare il pas- sato, ma vogliamo superarlo per rientrare nella società in modo diverso. Alla fine del- la detenzione per lo straniero sarà sicuramente più difficile rientrare nel tessuto sociale rispetto ad un italiano. Per lo straniero il carcere può rap- presentare la fine, in particola- re se è solo. Bisogna un po’ af- fidarsi alla speranza, per non cadere nell’inferno. Quelli a cui è rimasta la digni- tà, se vedono che in Italia non possono avere futuro, tornano nel loro paese. Partono, forse ancora alla ri- cerca dei loro sogni perduti, fuggono contro il tempo ed il tempo è contro di loro. Alla fine però sarà peggio di prima perché la speranza è stata tol- ta. Restare in Italia da clande- stini costringerebbe a frequen- tare gente sbagliata, fino a che non si perde la dignità della propria vita, nell’attesa di tor- nare nuovamente in carcere.
RORHOF